Scrivere come un uomo, per me che sono donna, non è proprio semplice. La storia Uomo gentile è stata più che altro uno svago, ma se avessi voluto approfondire il discorso sarei dovuta andare oltre come quelle scrittrici che hanno trattato l’argomento con più audacia, e talento.
All’istante mi viene in mente Mary Shelly con il suo Frankenstein, guardate questo video di Nadia Fusini, e Cime tempestose di Emily Brontë. Il primo più compassionevole pur nella durezza efferata degli omicidi della “creatura”, e di una scrittura più materna e colloquiale quasi ad abbracciare Frankenstein, vittima di un padre inumano verso quel mostro che lui stesso ha creato. O di un Heathcliff, meschino crudele e spietato, come nel secondo libro citato. Ammetto di non essere riuscita a terminare Cime tempestose. All’epoca quei testi erano per me pieni di violenza. Mi chiedevo come fosse possibile ridursi come i protagonisti e che lucidità “maschile” avesse avuto la Brontë mentre lo scriveva. Insomma tanto di cappello. Devo riprenderlo e vedere come mi sentirò nel leggerlo a distanza di tanto tempo.
Ritornando al discorso: per raccontare la natura umana e descrivere il genere opposto al proprio, come nell’esercizio di scrittura proposto da Carver, le due autrici si sono spogliate degli abiti di donna e nude hanno aperto la scrittura, spingendola dritta verso il mare. Hanno osservato, preso appunti, annotato. Sono diventate attrici e attori, pur rimanendo se stesse, del romanzo. Alla fine resta pur sempre una mano al femminile quella che intinge la penna nell’inchiostro.
Per scrivere come loro ci vuole talento, e questo è assodato, ma anche empatia e libertà di andare oltre il velo di quello che sappiamo degli uomini o viceversa. Ci vuole conoscenza dell’animo umano e di quella parte oscura che forse si cela in chissà quale abisso delle nostre paure. È un lavoraccio che ti espone alle tue debolezze, ai tuoi preconcetti e a ciò che non vorremmo mai scrivere o leggere. I motivi sono tanti e in parte rimarranno oscuri, come è giusto che sia nell’arte.
Nel mio racconto si parla di rabbia, aggressività, e incapacità di guardarla negli occhi, e questa cosa mi ha lasciato perplessa. Come a dire: è quello che penso degli uomini? Sono così ai miei occhi? Oppure il mio è un preconcetto? Ho semplicemente opposto, in maniera inconsapevole, allo stereotipo delle femmine quello dei maschi?
Scrivere non è semplice e quando scriviamo di un uomo, se siamo donne, o di una donna, se siamo uomini, chiediamoci quanto dell’altro sesso conosciamo davvero. E quanto di quello che conosciamo è solo un pregiudizio o viene dal nostro vissuto, che essendo personale per alcuni versi è anche falsato.
E se il poeta è fingitore come diceva Fernando Pessoa, lo scrittore lo è ancora di più perché crea orditi là dove c’è un semplice filo.
Di nuovo la scrittura viene a farci da analista ed a insegnarci molto di più.
Buona scrittura a tutti,
Anna
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