Questa settimana sono stata al Festival internazionale di giornalismo, a Perugia, e come mi aspettavo è stata una bella esperienza. Ho incontrato tante persone provenienti da tutto il mondo. Mi sono sforzata a parlare inglese e mi sono sentita davvero cosmopolita. Sono ritornata a casa con un bel bagaglio di esperienza e tanta voglia di fare. Tra le tantissime conferenze a cui ho partecipato ce n’è una che sicuramente può interessare alcuni di voi; se non altro perché il ruolo degli inviati di guerra è tanto affascinante quanto spirituale. Negli ultimi tempi è toccato a loro riscrivere la storia.
Al workshop “Come coprire le battaglie: regole di ingaggio per i giornalisti” tenuto dal bravo inviato di Al Jazeera, Laith Mushtaq, ho rubato tanti piccoli segreti. Tra una pausa di riflessione, una parola marcata più delle altre e una particolare enfasi nel raccontare alcuni avvenimenti ho tratto qualche considerazione. Le ho sintetizzate in questo modo:
– conoscere il posto dove si sta andando: chi lo abita; qual è la sua storia; le sue tradizioni; la sua cultura;
– non arrivare prevenuti sulla base del sentito dire; cercare di capire chi si sta intervistando; le motivazioni alla base delle sue proteste;
– sapere cosa il vostro editore esige da voi; chi vi ha mandato ha degli interessi? Di che parte politica appartiene? E’ importante saperlo perché condizionerà tutto il vostro lavoro; anzi, questo potrebbe persino essere usato per fare una certa propaganda;
– cercare una buona scorta perché potreste essere il bersaglio di cecchini;
– sentire sempre le diverse voci in gioco; ascoltare una sola campana è poco professionale e non aiuta di certo a capire cosa sta succedendo davvero;
– non esiste una verità al 100%;
– in un campo di battaglia si entra velocemente e si esce velocemente;
– è un lavoro di gruppo;
– lasciare il portatile e il cellulare (è l’attrezzatura più pericolosa sul campo di battaglia); vi troverebbero subito, soprattutto se siete giornalisti non embedded per cui non viaggiate con i soldati; le forze governative di solito sono restie a farvi sapere determinate cose; in qualche modo vi considerano delle spie capaci di svelare retroscene che vorrebbero mantenere nascoste;
– proteggere le vostre fonti, a tutti i costi; chi vi rivela alcuni fatti si espone a pericoli di attentato per questo va protetta, sempre;
– anche chi spara (i soldati, i cecchini, i rivoltosi) hanno paura;
– diventare più spirituali!
Chi va in guerra, anche solo per raccontare cosa sta succedendo, alla fine torna diverso. Nulla è come prima. Laith Mushtaq quando parlava della guerra usava l’espressione ‘carne bruciata’. Alla fine ho capito che si riferiva ai corpi bruciati delle persone. Ed è per questo che oggi è vegetariano. Non riesce più a mangiare carne perché gli ricorda le atrocità che ha visto. Di tutta quella conversazione mi è rimasta la sua voglia di spiritualità. Non è un caso che il workshop sia terminato con la parola spiritualità. E ancora una volta di più sono convinta che l’uomo non può vivere senza passare attraverso la luce del suo Sé e del suo Dio, chiunque esso sia.
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