Leggendo un articolo di Raymond Carver in il “Mestiere di scrivere” mi sono fermata a riflettere sul momento e la circostanza in cui nasce una poesia.
Io scrivo ovunque, dietro una cartolina, su un foglio di giornale. Al pc, in macchina, su una sedia scomoda attendendo il turno dal medico. E ogni volta che avverto l’arrivo della musa ispiratrice mi fermo e scrivo. Ma nel rileggere le mie poesie – che non ricordo affatto a memoria – non ripenso a quando le ho scritte. Le leggo unicamente ricercando il succo: quel nocciolo che è il cuore della poesia.
Raymond afferma che, forse, il motivo per cui si ricorda il momento e le circostanze in cui è nata ogni sua poesia coincide con il fatto che in realtà le poesie sono più vicine, più intime. Le considera come una sorta di autobiografia: “Ritengo dunque che in generale le poesie siano effettivamente più personali dei racconti e dunque più rivelatrici“.
Sono d’accordo con l’intimità di una poesia. Con la sua anima rivelatrice. Io non sempre posto alcuni miei versi, li trovo così personali che ho paura di essere scoperta. Ma a pensarci bene i grandi poeti non hanno lasciato nulla per sé. Hanno donato le loro emozioni, i loro sospiri, i loro tormenti, le loro delusioni le fragilità. La gioia, la vita, il coraggio. Insomma si sono messi in discussione. Ed è quello che dovremmo fare tutti noi che amiamo vivere in versi.
Buona scrittura a tutti.
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