Non sono come lei. Non sono come lei! La gente la guardava e terrorizzata si allontanava. Chi era quella ragazza che non aveva segni del tempo sul viso. Che camminava sola e senza scarpe. Chi era quell’anima in pena che osava allarmare il silenzio domenicale di una città di provincia. Iulia non era una donna come tutte le altre. Aveva splendidi capelli biondi, fin sopra il sedere. Era famosa per quel sedere, agli uomini piaceva toccarlo, accarezzarlo, morderlo. Agli uomini piaceva usare quel corpo per divertirsi. Iulia era nata in una famiglia di quelle borderline, non si sa come, non si sa quando, non si sa nemmeno chi fosse stato l’uomo che l’avesse messa al mondo. Sua madre aveva partorito in manicomio, quando ancora c’erano i manicomi. E non sapeva nemmeno come fosse successo quel parto. Il fatto allarmò la direzione, il direttore fu dimesso, gli infermieri spostati in altre strutture, ma quella bambina no, venne cresciuta in un reparto psichiatrico infantile di un manicomio sporco, squallido e mezzo avvizzito. Si diceva che avesse il diavolo in corpo. Che il suo sorriso fosse contagioso. Che le sue lacrime lo fossero ancora di più. All’età della salvezza di lei si salvò ben poco. Cacciata, rifiutata, malmenata solo la strada le diede rifugio. Un rifugio fatto di fetore, lezzo, mani e carezze sulla pelle. Un rifugio che non accoglieva nessuno. Nemmeno chi diceva di essere stato accudito da mamma strada. E intanto gridava, gridava. E quel grido faceva affacciare tutte le persone che su quella piazza centrale avevano la casa più bella. Non sono come lei. Non sono come lei! Gridava, e il suo grido si fermò d’un colpo. Una donna scese da un palazzo, le andò incontro, le aprì le braccia. Non gridò, non si lamentò, non fece nulla di nulla. Solo un abbraccio e la parole: Sei unica. Di Iulia si potrebbero raccontare tante storie, riempire pagine intere di libri, nessuna parola riempirebbe quell’unicità.
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