C’è una poesia di Emily Dickinson che ben si adatta all’esercizio di scrittura meditativa di oggi. La poesia parla di come una Parola, definita “Vitale” dall’artista, possa donare la vista, l’udito e l’eternità a chi – in questo caso la stessa Emily, ma il concetto riguarda tutti noi – fino a qualche istante prima usava i sensi unicamente per sopravvivere.
Udivo, come se non avessi Orecchi
Finché una Parola Vitale
Percorse tutta la strada dalla Vita a me
E allora seppi che avevo udito –
Vedevo, come se i miei Occhi fossero
Di un altro, finché una Cosa
E ora so che era Luce, perché
Era adatta a loro, giunse.
Abitavo, come se Io stessa fossi fuori,
Solo il mio Corpo dentro
Finché una Forza mi scoprì
E inserì in me il nocciolo –
E lo Spirito si volse alla Polvere
“Vecchia Amica, tu mi conosci”,
E il Tempo uscì ad annunciare la Notizia
E incontrò l’Eternità.
Ci sarà capitato di ascoltare o leggere una frase, una parola, un testo che ci apre improvvisamente gli occhi; anche un’immagine o un quadro può avere lo stesso effetto; per non parlare di alcuni episodi che ci cambiano completamente. Per alcuni di noi – i più fortunati – da quel momento in poi la vita assume un aspetto diverso. Ma per la maggior parte, quella “Parola Vitale”, dopo una prima euforia, scivola dritta nel dimenticatoio.
Bene, oggi proviamo a riprenderci quel momento di lucidità. Qual è stata la “Parola Vitale” che ha cambiato, seppure un solo attimo, la nostra esistenza? Questa volta prima di scrivere, sforziamoci di ricordare: dove ci trovavamo, che cosa stavamo facendo, qual era il nostro pensiero fisso, le nostre sensazioni. Come ci siamo sentiti, cosa abbiamo detto dopo la scoperta?
Una volta che tutte le nostre emozioni, sensazioni e percezioni sono riaffiorate, possiamo metterci a tavolino e scrivere. Se avete voglia postate i vostri scritti. Sarà un onore condividere le vostre “Parole Vitali”; a breve ci sarà anche la mia.
Buona scrittura a tutti.
“Ma ti sei guardata?”
In effetti, no. Non mi ero guardata.
Più che altro mi sentivo osservata. Era come aver fatto una cosa ridicola ed essere stata additata e derisa da un pubblico inesistente. Mi trovavo al centro di un cerchio e la mia vita aveva smesso di seguire il suo binario. Percorrevo, con estrema lucidità, la strada di un altro; ostinandomi nel battere un sentiero per me sconosciuto.
“Ma ti sei guardata?”
Ancora una volta, no. Non mi ero guardata.
Le parole dette con la stessa intonazione mi ferirono. Perché non mi ero guardata? Io sapevo chi fossi. Ma no, non mi guardavo. È così strano spiegare a qualcuno nato libero che la sua è pura illusione. Una catena mi legava la gola. Vivevo e basta.
“Ma ti sei guardata?”
Questa volta sì. Questa volta guardavo il cerchio. Questa volta mi ero vista. E non ero affatto male.
All’ ingresso c’è un quaderno. Una targhetta invita: “lasciate qualcosa di Voi”.
Indugio con la penna. Allora gli occhi si dissetano lungo le pagine, tra le tracce di chi ha lasciato una macchia d’inchiostro: una preghiera, un sogno, un augurio per se o per chi ama.
E’ un viaggio tra esistenze sconosciute, ma in ogni pensiero leggo un’emozione che mi appartiene. Alla fine del viaggio sono quelle emozioni firmate a lasciar qualcosa dentro me…