Sete, sete. Sete di sapere. Ma quanto beveva il ragionier Armando. Era come se fosse tornato da un’avventura nel deserto con la borraccia vuota, e sempre lì col braccio teso a chiedere, chiedere di bere. “Prima o poi arriverà in un oasi e tutti noi tireremo un sospiro di sollievo”. Dicevano i suoi simpatizzanti.
Io ero convinta invece che seppure l’avesse davanti agli occhi – l’oasi intendo – il ragionier Armando l’avrebbe reputata un miraggio. Perché era un cercatore, e si sa come son fatti i cercatori, non trovano mai nulla, perché sono nati per non trovare. E l’oggetto della ricerca non è così definito come te lo raccontano, cambia, col mutare del tempo e delle loro passioni.
Incontrai quest’uomo, già anziano, ad un corso dove ti insegnavano a capirti. Pensavo che un corso simile fosse la cosa giusta in un periodo delicato come quello che stavo attraversando. E chi ti trovo fra i banchi in prima fila? Il tipico alunno che piace poco agli insegnati. Il ragionier Armando era sì un uomo di altri tempi e di altre coscienze, ma i suoi 80 anni e passa non gli erano valsi nessun tipo di certezza. Aveva quel brutto vizio, non tanto amato dalle nostre parti, di voler sapere.
Era curioso di tutto. Faceva domande su domande e nessuna risposta sembrava accontentarlo. Anzi, puntuale ne nasceva un’altra, di domanda. Si parlava di un tema interessante? Lui chiedeva: “perché così e non così?”. C’era un’immagine stramba da criticare? Lui chiedeva: “perché proprio quel soggetto e non un altro?”. Perché? Perché? Perché? chiedeva il ragionier Armando guardando negli occhi un’insegnate un po’ intimorita.
A me piaceva quell’ometto piccolo e curvo, dagli occhiali grandi, i denti gialli e gli occhi azzurri. Mi piaceva il suo modo di chiedere: “Professoressa, posso farle una domanda?”. Sì, mi piaceva. E provavo timidamente tanta soggezione nel non aver neppure una briciola della sua sete. Io, che nella mia vita avevo sempre avuto paura degli altri, spingevo silenziosamente sulla mano di quell’uomo affinché l’alzasse e chiedesse. Sì, chiedesse anche per me.
Il caro ragionier Armando era un uomo aperto alla vita, e aveva 83 anni. Sappiamo tutti che a quell’età qualche libro in più l’hai dovuto per forza leggere. Ma lui non smetteva mai. Leggeva, leggeva. E chiedeva, chiedeva.
In questa sua impresa dell’assurdo si faceva seguire da una donna gracile e mingherlina, la moglie. Figura molto più diretta e concreta. Una a cui non piace tanto chiedere, ma andare a fare la spesa, e vivere serena. E con tutte quelle domande che serenità volevi avere! La donna conosceva benissimo il marito e più per pazienza che per diletto lo accompagnava in ogni sua nuova domanda. I suoi dolci occhi neri contrastavano l’acidità della chiarezza di quelli del marito. Più spenti. E meno vivi, come se tutta quella sete di sapere non gli sia valsa nessuna felicità. Felicità più che presente nella moglie.
Un giorno lo incontrai al parco comunale. Era solo sulla panchina. E da lontano non mi aveva riconosciuta. Mi avvicinai e salutai.
“Buongiorno, ragionier Armando.”
“Buongiorno.”
“Cosa fa di bello da queste parti?”
“Pensavo al senso della mia vita. Ho fatto la guerra, sai?”
“No… non sapevo.”
“Si ho fatto la guerra, e ho combattuto, anche. Che brutta cosa la guerra, ti mandano a uccidere gente che nemmeno conosci, che magari sono pure amici e tu vai là e bum! Sai che significa fare bum?”
“No… non lo so.”
“È un istante. Prima eri lì, guardavi il cielo. Un istante dopo sei ancora lì, ma guardi la terra. Sai che si prova a guardare la terra dall’alto?
“No… non lo so.”
“Ci si sente leggeri.”
“Tutto è più bello da lassù. Vedi le cose che qui non vedi. Oh, maledetti occhiali… dicevo che dal cielo tutto deve essere bello, perché sei a quella distanza giusta per toccare l’azzurro. Hai mai toccato il cielo?”
“No, non lo mai fatto. Ma una volta mi sono spinta con la fantasia così in là che mi sembrava di volare.”
“Volare? Dicono che l’anima voli. E che non c’è modo di trattenerla. Più la avvinghi a te e più prende il volo quella lì. Ci credi nell’anima?”
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