A Sara
Era un giorno d’estate, di quelli che puoi contare sulla punta delle dita e che non passano mai. Un giorno come tanti altri. Solite cose, solite persone, solita afa. Non cambiava nulla, e forse questo le piaceva, la rassicurava. Una vita uguale ogni giorno a se stessa non da problemi, non crea vuoti, la lasci andare e basta. Quel giorno Marisa si recò sul molo a vedere le onde. Voleva stare da sola. I suoi amici erano partiti per le vacanze. Chi al mare, chi in montagna, chi in campeggio. Lei era rimasta nella sua città. Così le andava di fare. Poi questo mondo non era così interessante, pensava. E se davvero voleva vedere qualcosa lo avrebbe cercato su Google.
Quella mattina era uscita presto. Così tanto per prendere un po’ d’aria fresca. Sarebbe arrivato il caldo di lì a poco e la sua casa era piena di fratelli, sorelle e genitori. Non c’era spazio per Marisa in quelle quattro mura. Si fermò alla fine del molo, là dove cessano gli scogli e inizia il mare aperto. Sulla punta. Di solito non veniva nessuno da queste parti perché era poco agevole arrivarci, dovevi saltare fra gli scogli aguzzi con il pericolo di cadere in mare. Marisa, fifone lo era sempre stata, ma questa cosa la faceva con semplicità. Prima guardava le sue mani ruvide e spezzate dalla mancanza di cura verso se stessa, poi l’orizzonte, e infine cercava qualche gabbiano. Ecco il suo passatempo.
Avrebbe continuato a guardare quel quadro se il suo sguardo non si fosse incagliato tra gli scogli assieme ad una bottiglia. Brillava al sole tanto era luminosa. Mise gli occhiali scuri per capire cosa fosse e vide che dentro c’era qualcosa. Subito pensò a quelle bottiglie con i messaggi d’amore buttati da una scogliera o alla mappa di un tesoro nascosto da un vecchio pirata. Sorrise pensando a quest’ultima assurda eventualità. Si alzò, scese sullo scoglio e la prese. Era una bottiglia trasparente di quelle col tappo ermetico che fa puff! quando lo alzi. E di fatto fece un botto, come a festeggiare un compleanno.
Estrasse con esitazione il contenuto e si trovò davanti qualcosa che non avrebbe mai immaginato di trovare: un piccolo quaderno di poesie. Chissà chi le aveva scritte. Chissà se erano per un amante, se parlavano di amore o di odio. E se fossero state poesie di guerra? Aveva paura. Si può tremare davanti alle parole, Marisa lo sapeva bene. Era una calligrafia molto elegante, in corsivo, scritta con una stilografica nera. Sperò di trovare il nome dell’autore da qualche parte, ma niente, chi aveva messo quel quaderno nella bottiglia non voleva essere rintracciato, capì.
Aprì e lesse,
Se mai ho ceduto
È stato per te mare
Per sentire il tuo profumo
Perdermi in un tuo sorso
Marisa lesse ancora un’ altra pagina,
Possibilità infinite
Ci sono attorno a te
Alcune le vivrai
Altre le perderai
Nessuna ti porterà altrove
L’inizio è qui
Nel tuo dolore
Lesse voracemente e senza vergogna. Parola per parola. Non riusciva a fermarsi, era qualcosa di più forte di lei. Lesse quelle poesie al mare. Lui l’ascoltava con la voce pacata di un amico che ti accarezza il cuore, che sa tutto di te e ti ama.
Lesse ancora, e ancora, e ancora.
Sono tornata
Dove tutto è nato
Ma tu dove sei
Non ti vedo
Le ore passarono con il loro carico di energia. Solo il suono di una nave riportò Marisa in quella giornata qualunque.
Padre, sapessi
Il vento aveva la tua voce
La luna la tua anima
Ma solo il mare ti possedeva
Ora che sei qui
Torno a vedere!
Calde lacrime rigarono il volto della ragazza, quelle parole erano state come un balsamo per il suo cuore. Pregarono, Marisa e il mare. Il mare e Marisa. E quella giornata ora sapeva di freschezza, di granchietti sugli scogli, di salsedine sul viso, di calore sulla pelle. Marisa decise di fare quello che le sembrava giusto fare, restituire la bottiglia al mare. La strinse per l’ultima volta e l’affidò alle acque, certa che avrebbe trovato un nuovo cuore da lenire.
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