Nel precedente post ho parlato del libro l’Amante di Marguerite Duras. E della possibilità, per noi, di prendere spunto da quella storia d’amore e di vita per raccontare una nostra storia, del tutto personale. Ecco la mia…
Il giorno cominciava presto, molto prima di aprire gli occhi; lì, nel mondo dei sogni, dove a nessuno è permesso entrare senza consenso. In quel mondo, lei, beatamente, viveva le sue fantasie prima che il sole albergasse e dagli occhi filtrasse la lieve luce del giorno.
La sua vita incominciava in quel’istante. Nel dormiveglia. Immersa fra realtà e finzione.
E quando arrivava l’ora di alzarsi dal letto, il suo era un destarsi violento. Prepotante. Come una macchina che ti taglia la strada e non sai più se è il cuore quel battito assordante o il rumore del motore sull’asfalto.
La mattina tutto si svolgeva secondo rituale. Un piede. Poi l’altro. Fino a sentire le viscere pietrificarsi con il primo passo sul pavimento gelido.
“Sarà così che si sentono i barboni, gelide pietre viventi?”
Pensava a loro quando con lo sguardo toccava la lieve nebbia mattutina. Pensava a loro nell’accarezzare i resti lasciati da una pioggia notturna sul balcone. Poi il pensiero svaniva attutito dal vestito indossato per uscire.
Giù, nelle secondarie stradine cittadine, non incontrava nessuno. Solo qualche uccello canterino e lo spazzino di una vita.
Quando pigiata nel bus cittadino trovava un angolo per respirare senza sentire il malessere delle persone, pensava a quel momento, tutto suo, in cui lo avrebbe rivisto. Il treno avrebbe fatto tardi, lei lo sapeva, e ne approfittava; anche questo sapeva.
Sapeva che sarebbe scesa alla stazione per salutarlo.
Ogni giorno, tutte le volte che si alzava per andare a lavoro, sapeva che lo avrebbe incontrato di nuovo. Lì, sul porticciolo, lo avrebbe amato ancora una volta. Più di ieri. Meno di domani. Gli avrebbe raccontato in silenzio i suoi sogni appena vissuti. E cercato di calmare i suoi slanci. Lui si cibava di pensieri. Lei di carezze portate dal vento.
Il tempo picchiettava la sua presenza, e quando giungeva il saluto era quel lucchetto con la scritta persa nel tempo “Amor Eter” a ricordarle che non esiste la parola fine per chi ama davvero.
Eden
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