Nelle mie giornate di studio, e stesura di testi birichini, sono incappata in una frase di Satvat Sergio della Puppa dal suo libro Manuale di scrittura creativa:
È necessario eliminare la verbosità e nutrire la semplicità efficace delle espressioni, rendendole evocative.
Pensavo a questo verbo “evocare” e mi sono chiesta da dove provenisse. Sul dizionario etimologico c’è scritto che deriva dal latino E-VOCARE, ossia CHIAMAR FUORI. Chiamar dal regno oltramondano le anime e gli spiriti simili. Mi domando se nell’usare espressioni evocative in qualche modo chiamiamo dal regno del nostro inconscio scene, personaggi ed emozioni dimenticate.
Evocare però può anche destare problemi. Pensiamo a quante volte abbiamo evocato situazioni spiacevoli. Eppure ancora una volta credo che la scrittura possa venirci incontro e aiutarci come una madre. Evocare allora diventa un mezzo per distaccarci da quel dolore: lo evoco, lo vivo, lo abbraccio e poi lo lascio andare. Un po’ come ha fatto Bertold Brecht nella sua memorabile poesia contro la guerra:
8 settembre: in memoria
Mio fratello era aviatore
Un giorno ricevette la cartolina.
Fece i bagagli, e andò via,
Lungo la rotta del sud.Mio fratello è un conquistatore.
Il popolo nostro ha bisogno
Di spazio. E prendersi terre su terre,
Da noi, è un vecchio sogno.E lo spazio che si è conquistato
È sui monti del Guadarrama.
E’ lungo un metro e ottanta
E di profondità uno e cinquanta…Bertold Brecht
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